venerdì 9 luglio 2010

Il buonsenso nel mondo alla rovescia

La notizia, letta su un forum, appariva talmente assurda da apparire uno scherzo. Eppure è bastata qualche verifica per capire che in realtà tutto era vero. Purtroppo però, uno scherzo non particolarmente divertente. Eppure, sul sito Web della FIAB (Federazione Italia – presunti verrebbe voglia di aggiungere – Amici della Bicicletta), nella home page emblema della confusione che deve regnare da quelle parti, troneggia in bella evidenzia ormai da qualche giorno la scritta a caratteri cubitali: “Casco obbligatorio - Ritorna il buon senso grazie alla FIAB. Cancellato alla Camera l'emendamento del Senato”.

Per comprendere a fondo la questione, è necessario un passo indietro. Qualche settimana prima, in fase di aggiornamento del Codice della Strada, in Parlamento era arrivata la proposta di casco obbligatorio per i minori di 14 anni in bicicletta. Una di quelle norme che in un Paese ideale non dovrebbe neppure esistere, in quanto dettata prima di tutto dal buon senso, magari con l’aiuto dei genitori. In ogni caso, finalmente un contributo delle istituzioni, ciò a cui in fondo dovrebbero anche servire, nell’educare i giovani a prendere coscienza della realtà.

Quella realtà, in Italia, sono strade dove i ciclisti vengono sempre più spesso giudicati un intralcio da macchine sempre più grosse e sempre più veloci, la cui ultima preoccupazione alla vista di due ruote è quella di rallentare o mostrare la minima considerazione del concetto di distanza di sicurezza.

Eppure, non solo la FIAB ha scatenato una vera e propria guerra personale, ma ne ha fatto un motivo di orgoglio. E, siccome al peggio non c’è mai limite, passi decisi verso un vero e proprio delirio si compiono leggendo le motivazioni di tanta avversione. A lasciare a bocca aperta è prima di tutto l’affermazione: “Quella dell’utilizzo obbligatorio del casco è una misura che, laddove adottata e al di là delle motivazioni dichiarate, ha dimostrato effetti controproducenti sulla pratica della bici, trasformandosi in un deterrente che ha ridotto il numero dei ciclisti in circolazione”.

Qualcuno però, ha pensato che si potesse andare addirittura oltre. E infatti poche righe dopo, si rincara la dose con un’altra chicca: “Si aggiunga che la protezione garantita al ciclista dall'uso del casco in caso di investimenti ad alta velocità è sostanzialmente ininfluente e crea anzi una falsa percezione di sicurezza che non corrisponde all’effettiva protezione, dato che i caschi sono omologati per reggere solo a cadute minori”. Viene da chiedersi come mai i ciclisti professionisti, e la quasi totalità degli amatori abituati a velocità ben superiori ai 25 Km/h, si guardi bene dal fare a meno del casco.

Dopo queste frasi, difficile trovare le parole per spingersi oltre quanto già appare ben evidente. Augurandosi magari di trovare persone dotate di maggiore buon senso, come il Comandante della Polizia Locale di un Paese della Valle Olona che, dall’alto della propria esperienza e diplomazia, si è limitato a definire la battaglia “diseducativa”.

Mentre probabilmente l’Associazione ha ottenuto la pubblicità ricercata prima di ogni altra cosa e offerto dimostrazione di forza distruttiva, viene ora da chiedersi quando l’ACI seguirà l’esempio per scatenare un’analoga battaglia sull’utilizzo delle cinture di sicurezza. Magari affermando che in caso di incendio, sono pericolose.


Geppe

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