venerdì 23 luglio 2010

L'autostrada si abbatte sui ricordi


Di zone così dalle parti della Valle Olona ce ne sono tante è non sarà certo l’area più rimpianta tra quelle destinate a sparire per fare posto all’Autostrada Pedemontana. Però, quel piccolo sentiero che attraversa un bosco è uno dei tanti posti legato a una serie di ricordi e come tale la consapevolezza di poterlo vedere e attraversare ancora per poco tempo lascia spazio a rimpianti. Soprattutto nella prima fase, quella più brutale del disboscamento.

Il sentiero in questione si trova alle porte di Solbiate Olona e collega il paese a Fagnano Olona passando in parte in mezzo a prati a campi. La zona d’ombra relativamente vicina alle abitazioni è stata per anni anche luogo di ritrovo per alcuni anziani, capaci di renderlo confortevole con poche sedie da giardino e un tavolino artigianale.

Tanti, probabilmente di fronte a quel bosco e quel sentiero restano del tutto indifferenti, ma sono in diversi ad aver percorso più volte il tratto in bicicletta o a piedi, sia per una semplice passeggiata, ma anche come collegamento tra i due paesi al riparo dal sole e al sicuro dal traffico. In particolare, il percorso pianeggiante e la vicinanza alle abitazioni ne hanno fatto per anni una palestra per tanti bambini ansiosi di avventurarsi in bicicletta in quella che poteva sembrare una foresta.

Tutti questi ricordi si fanno strada in maniera un po’ confusa, in una mattina di estate come tante, durante
l’ennesimo passaggio in bicicletta per una commissione come tante. All’improvviso però, il percorso è sbarrato da alcune robinie cadute di traverso. Il primo pensiero è al temporale della sera prima, ma la ragione porta presto a ritenere la cosa poco probabile, vista la normalità dell’evento.

Il tempo di una piccola deviazione per aggirare l’ostacolo pensando comunque a un fatto casuale dura solo lo spazio di un paio di pedalate. Una luce insolita per quel tratto di sentiero apre gli occhi alla cruda realtà. Poco più avanti infatti la strada è completamente chiusa da decine di piante già abbattute, forse non per caso, tutte lungo il sentiero.

A questo punto a farsi strada ci reisce solo la curiosità, ma basta voltare lo sguardo verso i campi ai margini del bosco per scoprire come stanno le cose. I picchetti a sostegno del nastro bianco e rosso delimitano chiaramente il percorso dell’autostrada e all’interno dei confini così marcati, l’opera di disboscamento ha preso il via e viaggia spedita. Dell’angolo caro agli anziani rimane solo una catasta di rami, il sentiero percorso tante volte è diventato un ricordo e guardando lontano sembra già di sentire il rumore del traffico correre pochi metri più sotto, là dove l’autostrada si infilerà in un tunnel per passare sotto il paese e sbucare sul viadotto destinato ad attraversare la Valle Olona.

Quando tutto sarà finito, probabilmente quest’area tornerà più bella e fruibile di prima, se le promesse piste ciclabili e gli interventi annessi saranno realizzati. Ma adesso è il momento più difficile, quello di vedere cancellati in un pochi giorni i ricordi di anni in attesa di un futuro distante ancora anni.

Geppe

venerdì 9 luglio 2010

Il buonsenso nel mondo alla rovescia

La notizia, letta su un forum, appariva talmente assurda da apparire uno scherzo. Eppure è bastata qualche verifica per capire che in realtà tutto era vero. Purtroppo però, uno scherzo non particolarmente divertente. Eppure, sul sito Web della FIAB (Federazione Italia – presunti verrebbe voglia di aggiungere – Amici della Bicicletta), nella home page emblema della confusione che deve regnare da quelle parti, troneggia in bella evidenzia ormai da qualche giorno la scritta a caratteri cubitali: “Casco obbligatorio - Ritorna il buon senso grazie alla FIAB. Cancellato alla Camera l'emendamento del Senato”.

Per comprendere a fondo la questione, è necessario un passo indietro. Qualche settimana prima, in fase di aggiornamento del Codice della Strada, in Parlamento era arrivata la proposta di casco obbligatorio per i minori di 14 anni in bicicletta. Una di quelle norme che in un Paese ideale non dovrebbe neppure esistere, in quanto dettata prima di tutto dal buon senso, magari con l’aiuto dei genitori. In ogni caso, finalmente un contributo delle istituzioni, ciò a cui in fondo dovrebbero anche servire, nell’educare i giovani a prendere coscienza della realtà.

Quella realtà, in Italia, sono strade dove i ciclisti vengono sempre più spesso giudicati un intralcio da macchine sempre più grosse e sempre più veloci, la cui ultima preoccupazione alla vista di due ruote è quella di rallentare o mostrare la minima considerazione del concetto di distanza di sicurezza.

Eppure, non solo la FIAB ha scatenato una vera e propria guerra personale, ma ne ha fatto un motivo di orgoglio. E, siccome al peggio non c’è mai limite, passi decisi verso un vero e proprio delirio si compiono leggendo le motivazioni di tanta avversione. A lasciare a bocca aperta è prima di tutto l’affermazione: “Quella dell’utilizzo obbligatorio del casco è una misura che, laddove adottata e al di là delle motivazioni dichiarate, ha dimostrato effetti controproducenti sulla pratica della bici, trasformandosi in un deterrente che ha ridotto il numero dei ciclisti in circolazione”.

Qualcuno però, ha pensato che si potesse andare addirittura oltre. E infatti poche righe dopo, si rincara la dose con un’altra chicca: “Si aggiunga che la protezione garantita al ciclista dall'uso del casco in caso di investimenti ad alta velocità è sostanzialmente ininfluente e crea anzi una falsa percezione di sicurezza che non corrisponde all’effettiva protezione, dato che i caschi sono omologati per reggere solo a cadute minori”. Viene da chiedersi come mai i ciclisti professionisti, e la quasi totalità degli amatori abituati a velocità ben superiori ai 25 Km/h, si guardi bene dal fare a meno del casco.

Dopo queste frasi, difficile trovare le parole per spingersi oltre quanto già appare ben evidente. Augurandosi magari di trovare persone dotate di maggiore buon senso, come il Comandante della Polizia Locale di un Paese della Valle Olona che, dall’alto della propria esperienza e diplomazia, si è limitato a definire la battaglia “diseducativa”.

Mentre probabilmente l’Associazione ha ottenuto la pubblicità ricercata prima di ogni altra cosa e offerto dimostrazione di forza distruttiva, viene ora da chiedersi quando l’ACI seguirà l’esempio per scatenare un’analoga battaglia sull’utilizzo delle cinture di sicurezza. Magari affermando che in caso di incendio, sono pericolose.


Geppe