venerdì 2 ottobre 2009

Viaggiando si impara - Le buone maniere

Varcare i limiti territoriali della propri nazione per un viaggio di piacere è sempre istruttivo. Per quanto virtuali siano diventate molte frontiere, non serve infatti percorrere molti metri in terra straniera per accorgersi subito di quanto in realtà persistano marcate differenze di usi e costumi. Non sempre c’è da imparare, ma torna utile, e a volte sconfortante, scoprire quanta strada a casa propria sia necessario percorrere all’insegna della convivenza civile. Civile intesa come in grado di offrire a tutti un adeguato livello di sicurezza.

Il Paese in questione non è uno di quelli più blasonati da questo punto di vista, come Svizzera, Austria e Germania o la Scandinavia, spesso vittime di luoghi comuni intenzionati a liberarsi frettolosamente da eventuali responsabilità e doveri, ma uno molto più affine all’Italia, vale a dire la Francia.

Primo termine di paragone, la sicurezza sulle strade e dintorni. In effetti, superata la linea di confine, non serve molto prima di capire come una barriera doganale non sia indispensabile per segnare la differenza. Basterà arrivare alla prima rotonda per osservare le prime interessanti usanze transalpine.

Per prima cosa, le auto in arrivo hanno la curiosa trovata di rallentare sempre e comunque; operazione peraltro agevolata da un rispetto pressoché totale dei limiti di velocità. Inoltre, una volta rispettata nientemeno che un’eventuale precedenza fermandosi di norma un metro prima dello stop piuttosto che un metro dopo, arrivano addirittura a segnalare la direzione di uscita con la freccia. La differenza con la terra nostrana è così marcata da restare inizialmente perplessi, forse vittime di una candid camera, ma ci si può abituare e arrivare perfino a vedere il traffico scorrere senza i continui strattoni dovuti a improvvise frenate e accelerazioni. Certo, diventa più difficile scommettere su quale uscita imboccherà il veicolo che occupa la rotonda o scoprire se il malcapitato di turno riuscirà a frenare in tempo per evitare il sempre presente prepotente, ma in compenso si porta a casa carrozzeria, pelle e sistema nervoso, tutto in piena efficienza.

Un’altra usanza molto diffusa oltreconfine è prendere in considerazione la distanza di sicurezza. Non solo, addirittura si arriva di norma a rispettarla. Può sembrare strano vedere auto e moto viaggiare a diversi metri invece di pochi centimetri dai rispettivi parafanghi, eppure sembra che queste persone riescano a vivere anche senza manifestare insofferenza verso chiunque osi frapporsi sulla strada, non ceda la strada immediatamente in qualsiasi situazione, o non si pieghi ai frenetici zig-zag. In compenso, sembra traggano soddisfazione dal vedere i consumi ridotti grazie alla velocità costante e il traffico più fluido. In cambio sono disposti persino a rinunciare al piacere di inquadrare da vicino le carie del pilota alle spalle attraverso lo specchietto retrovisore.

Veramente incomprensibile inoltre, per un italiano medio, capire cosa possa indurre tante persone a non collegare il telefono cellulare direttamente alla chiave di accensione come vorrebbero tanti italiani. Chi proprio non riesce a resistere alla tentazione o alla necessità di chiamare durante la guida, ha la curiosa abitudine di usare un auricolare, quello strano oggetto sconosciuto ai più, solitamente di serie con il telefono o comunque in vendita a circa il 5% del valore del prezioso compagno di viaggio. Certo, l’emozione di assistere a sofisticati esercizi di contorsionismo testa-mani-collo-sigaretta-cambio è tutt’altra cosa, ma è anche possibile fare a meno di dover indovinare da quale parte i telefonista di turno effettuerà la successiva sterzata improvvisa.

Ma è su un altro aspetto che i francesi arrivano veramente all’impensabile. Per accorgersi, è necessario munirsi nientemeno che di una bicicletta, uno di quei mezzi considerati il più delle volte intrusi dagli abituali frequentatori delle strade nostrane. Sembrerà incredibile, ma oltralpe le biciclette sono considerati veicoli con pari dignità. Quindi, pedalando lungo una strada, diventa praticamente impossibile non solo sentire avvicinarsi rombi di motore in accelerazione fino a un cm dalla ruota posteriore, ma addirittura vedere sfilare i mezzi motorizzati a una frazione di centimetro a velocità folli. In poche parole, si rispetta la distanza di sicurezza, anche e soprattutto lateralmente, superando se e quando la strada lo permette. Come faccia tanta gente ad accettare serenamente di dover procedere qualche centinaio di metri al passo di una bicicletta senza poter sfogare a colpi di clacson e manovre azzardate la propria frustrazione può essere difficile da capire, ma sembra proprio che la conseguenza più marcata sia un minore lavoro per la cronaca nera. E un incentivo a usare di più le biciclette, bambini compresi.

A scopo puramente scientifico sarebbe infine interessante replicare una pratica molto diffusa: riservare lo spazio in prossimità di un incrocio regolato da semaforo esclusivamente alle biciclette. Anche nell’improbabile ipotesi che tale spazio venisse rispettato, chiunque fosse disposto a fare da cavia, sappia che in Italia rischia di essere inquadrato dal SUV di turno come potenziale obiettivo per uno strike.


Geppe

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