martedì 20 maggio 2008

Giornalisti e giornalai, civette e avvoltoi

Nonostate quello che spesso affermano i diretti interessati, fare il giornalista è un gran bel mestiere. Forse anche troppo, perchè la possibilità di godere di presunti privilegi rende la professione appetibile anche da chi con il giornalismo c'entra poco o niente. E, soprattutto, da chi per qualche oscura ragione è interessato ad acquisire un presunto titolo solo per il piacere di poterlo sfoggiare.

In casi come questo tutto il resto, etica, deontologia, ricerca della notizia, possibilità di replica, verifica, confronto e attività del genere solitamente passano in secondo piano di fronte alla tentazione di scopiazzare articoli da Internet, da un comunicato stampa o da un pettegolezzo, solo per il gusto dal sapore un po' perverso di potersi lanciare in un titolo provocatorio o allarmante. Che poi si tratti di dichiarazioni del tutto o in parte inventate, o gonfiate, passa troppo spesso in secondo piano.

Finchè questa situazione resta prerogativa di giovani ambiziosi impegnati sul campo, le conseguenze possono essere minime. Il problema è quando una situazione del genere si verifica all'interno di una redazione, dove esperienza e professionalità dovrebbero essere requisiti imprescindibili. In una qualsiasi testata degna di tale nome infatti, certe situazioni non dovrebbero verificarsi. Anche solo per rispetto nei confronti di una persona che non se la passa tanto bene.

Quali situazioni? Per esempio, quella della fotografia. Che affidabilità può infatti avere un periodico che mette in bella mostra in tutte le edicole una 'civetta' (è il nome del foglio con la notizia più importante del numero che viene esposto all'esterno per fare da richiamo, che in casi come questo sarebbe più appropriato definire 'avvoltoio') come quella della fotografia? (e non sto parlando della gita a Como)

Dalla pubblicazione è ormai passata qualche tempo, quindi è possibile affrontare il problema a freddo. E la questione non è di secondo piano, perchè non si tratta di un caso isolato. E' un chiaro sintomo del modo di intendere il giornalismo in certi ambienti.

Sensazionalismo a tutti, ma proprio tutti i costi. Senza preoccupazioni riguardanti la verità di quanto strillato. Più o meno come quando si sbatte un mostro in prima pagina solo per il piacere di farlo, disinteressandosi delle conseguenze e del diritto alla replica dei diretti interessati.

L'importante, come si dice, è abbindolare il lettore e vendere più copie possibile. D'altra parte, non è da escludere che chi continua a comprare pubblicazioni di questo tipo in fondo abbia quello che si merita. Anche se l'etica professionale dovrebbe risiedere dalla parte di chi scrive e impagina. Ma, in effetti, è un qualcosa che riguarda i professionisti, e qua allora i conti tornano.

Geppe


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