Mentre Varese e i varesini riprendono perplessi il possesso della propria città, dopo che la tanto annunciata invasione alla luce dei fatti si è rivelata poco più di una scampagnata, per i Mondiali di Ciclismo di Varese 2008 è già il tempo dei ricordi.
In quel misto di sollievo e nostalgia, tipica di esperienze tanto sognate che poi si consumano nel giro di pochi minuti, affiorano in ordine sparso sensazioni e ricordi di queste giornate storiche.
A parte qualche intoppo nell'inedita cerimonia di apertura, tutto sembra essere andato per il meglio. Più che le dichiarazioni di circostanza, la conferma arriva dagli addetti ai lavori, soprattutto stranieri, presenti tanto nel Cycle Stadium come sul percorso di gara.
Forse meno ortodossa, ma certamente più sincera, la soddisfazione dimostrata dallo stuolo di tifosi norvegesi che, dopo essersi accampati a centinaia sulla salita dei Ronchi, hanno passato la giornata a festeggiare anche dopo che Kurt-Asleil Arvesen, loro idolo ben stampato sulle magliette, si è ritirato. Con estrema soddisfazione dei chioschi che hanno dovuto provvedere a rifornimenti straordinari di birra.
Proprio la salita più spettacolare del circuito però, è l'emblema del problema maggiore registrato dall'evento. Le cifre ufficiali parlano di 650 mila spettatori complessivi per l'intera settimana e di 350 mila per la domenica. In pochi saranno diposti ad ammetterlo, ma con tutta probabilità ci si aspettava di più. Come ci si attendeva di più in fatto di turisti. Le misure prese per non congestionare il centro cittadino di fatto hanno prodotto un'insolita tranquillità per le vie commerciali, mentre buona parte del traffico era stato dirottato sulla circonvallazione e sul nuovo moncone di tangenziale, con il risultato di ingorghi memorabili a fare da cornice a una calma inquietante.
Agli appassionati di ciclismo abituati a vedere i pendii delle tappe di montagna del Giro d'Italia gremiti di tifosi all'inverosimile la cosa non è sfuggita. Sulle rampe dei Ronchi, i presenti si contavano infatti a centinaia più che a migliaia. Ma una spiegazione potrebbe non essere molto lontana. Basta infatti considerare che domenica per entrare nello stadio era necessario pagare un biglietto che andava di 40 euro per il parterre ai 200 per le tribune. Per entrare sulla via dei Ronchi, 28 euro a persona. In ogni caso, una famiglia media di 4 persone si trovava a dover spendere almeno un centinaio di euro. Una cifra decisamente alta per uno sport popolare come il ciclismo. E per giunta nel momento in cui si trova a dover accusare un pesante calo di popolarità.
A parte questo, è doveroso ricordare come buona parte dell'esito positivo della manifestazione è da riconoscere alla pattuglia di volontari di tutte le età. Un raro esempio di personale di servizio cortese e comprensivo anche nei momenti più delicati della corsa.
Più che senzazioni, comunque, sono ormai dei ricordi. Ricordi impreziositi dall'essere stati vissuti dal vivo. Come l'andatura sonnolenta dei primi giri, lo scatto incredibile di Ballan verso la storia e tutti quei momenti che non sarebbe stato possibile assaporare in televisione. Come per esempio il passaggio dei corridori sconosciuti distanziati di minuti dopo pochi chilometri che arrancano sui tornanti, oppure la memorabile passerella di Bettini, che mentre i propri compagni si giocavano la maglia iridata sfilava tra due ali di tifosi tutti per lui e poteva permettrsi di dispensare saluti.
Certamente, con il tempo il valore di poter dire "c'ero anch'io", non sarà solo sintomo di vecchiaia, ma un ricordo indimenticabile. Nel frattempo, c'è spazio anche per una piccola rivincita: aver avuto il sostegno inconsapevole di tutti gli addetti ai lavori nel considerare il percorso non particolarmente impegnativo e selettivo. Esattamente quello che mi sono ostinato ad affermare per mesi davanti alle espressioni contrariate di appassionati, cicloamatori o semplici pettegoli, ufficialmente molto più competenti di me.
Geppe